Cerca
Generic filters

Dalla violenza verbale agli abusi psicologici: come identificare e intervenire

Abstract
Nel contesto sportivo, abusi psicologici e violenza verbale possono insinuarsi in modo subdolo tra compagni di squadra, nello spogliatoio o persino nella relazione educatore-atleta. Riconoscerli tempestivamente è fondamentale per salvaguardare il benessere di chi pratica sport, soprattutto i più giovani. In questo articolo, rivolto a tecnici e atleti, vengono analizzati segnali critici, strumenti operativi e strategie di intervento per gestire segnalazioni, prevenire comportamenti lesivi e promuovere un clima rispettoso e sano. Un contributo pratico e riflessivo per costruire ambienti sportivi sicuri, a partire dalle parole.
Parole chiave: violenza – prevenzione sportiva – abuso psicologico

Lo sport può insegnare la lealtà, la resilienza e il rispetto. Ma può anche diventare – quando si ignorano i segnali – un contesto fertile per violenze silenziose. Un urlo costante in allenamento, una derisione pubblica, pressioni emotive sproporzionate, minacce velate. Sono tutte forme di violenza verbale e psicologica che, ripetute nel tempo, lasciano ferite profonde. Nei gruppi giovanili, specialmente, questi comportamenti possono passare inosservati perché mascherati da “disciplina” o confusi con la normale competitività. Ma esiste un confine chiaro tra stimolo e sopraffazione, tra guida e umiliazione. Il ruolo del tecnico è prima di tutto educativo.
La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, il Codice di comportamento sportivo del CONI e la recente Policy Nazionale per il Safeguarding nello sport stabiliscono che ogni atleta, a qualsiasi età, ha diritto a un ambiente sicuro, privo di abusi e intimidazioni. La Legge 4/2013 sulla regolamentazione delle professioni non ordinistiche riconosce le competenze pedagogico-educative come risorsa nei percorsi di tutela.

Esempi di un Caso reale illustrativo

Un giovane atleta di 12 anni, in un gruppo agonistico di nuoto, ha iniziato a mostrare segni di ritiro emotivo e rifiuto verso gli allenamenti. Alla base, l’uso frequente da parte dell’allenatore di soprannomi offensivi, commenti sul corpo e umiliazioni durante gli errori tecnici. La madre ha raccolto il disagio, rivolgendosi al Safeguarding Officer della società. Dopo il primo colloquio, la dirigenza ha attivato un monitoraggio sugli allenamenti, portando alla sospensione del tecnico, alla revisione del metodo comunicativo e all’avvio di un percorso di gruppo sul rispetto e la comunicazione empatica. Il ragazzo ha ripreso ad allenarsi, supportato da un tutor sportivo e da attività di rinforzo positivo.

Procedura operativa – Metodo A-B-C

● A – Ascolta. Non sottovalutare mai segnali di disagio o racconti di malessere. Ogni atleta ha diritto di essere ascoltato senza paura di ritorsioni.
● B – Blocca. Anche in mancanza di prove immediate, interrompere la dinamica è un atto di responsabilità. Valuta la sospensione cautelativa.
● C – Comunica. Attiva la rete: Safeguarding Officer, dirigenti, famiglie. Redigi un verbale e applica le procedure di segnalazione previste dalla policy interna.

Pareri e consigli pratici

● Per gli allenatori: guida sì, dominio no. La motivazione passa dal rispetto. I feedback devono essere costruttivi, mai degradanti.
● Per gli atleti: non accettare mai “per scherzo” ciò che ti fa sentire piccolo. Parlarne è un atto di forza, non di debolezza.
● Per le società: inserite la comunicazione non violenta nei percorsi di formazione obbligatoria. Prevenire è meglio che gestire.

Contatti utili

● Safeguarding Officer: safeguarding@nomesocietà.it
● 114 – Emergenza Infanzia
● Telefono Azzurro: 19696
● Centro Nazionale Safeguarding CONI: www.sportesalute.eu/safeguarding

Ogni parola può essere carezza o colpo. Ogni relazione educativa può costruire oppure spezzare. Il compito di chi educa nello sport è scegliere con attenzione il linguaggio, monitorare le relazioni e intervenire con coraggio di fronte a segnali di abuso.
< Non esiste performance che valga più della dignità di una persona. > Questo ho imparato sul campo, ascoltando storie di atleti che hanno perso fiducia e ritrovato forza proprio grazie a un adulto che ha scelto di non voltarsi.
Costruire un ambiente sportivo sano non è un’opzione: è una promessa che facciamo ogni giorno a chi ci guarda dagli spogliatoi, con sogni grandi e fragilità vere.

FAQ – Domande frequenti su violenza verbale, abuso psicologico e Safeguarding nello sport

  1. Cos’è l’abuso psicologico in ambito sportivo?
    È una forma di violenza non fisica che si manifesta attraverso umiliazioni, intimidazioni, isolamento, svalutazioni, pressioni eccessive o minacce, spesso agite da adulti di riferimento o da pari. Può compromettere l’autostima, la motivazione e il benessere psicofisico dell’atleta.

  2. Come si distingue da una semplice “correzione tecnica”?
    La correzione ha l’obiettivo di migliorare la prestazione e si basa sul rispetto. L’abuso, invece, genera vergogna, paura o sottomissione. Il confine si riconosce nell’effetto: se l’atleta si sente umiliato, svalutato o escluso, è necessario fermarsi e riconsiderare il linguaggio utilizzato.

  3. Chi può segnalare un abuso?
    Tutti. Atleti, genitori, allenatori, dirigenti e anche osservatori esterni. Ogni società sportiva deve garantire un canale sicuro, accessibile e riservato per le segnalazioni, senza timore di conseguenze.

  4. Cosa succede dopo una segnalazione?
    Viene attivato il Safeguarding Officer, che valuta la situazione, ascolta le parti coinvolte e propone azioni immediate per la tutela dell’atleta. Se necessario, si coinvolgono organi superiori (come federazioni o centri specialistici).

  5. Qual è il ruolo del Safeguarding Officer?
    È la figura di riferimento per la protezione da abusi, violenze e discriminazioni. Ascolta, raccoglie segnalazioni, monitora le dinamiche interne e promuove la formazione del team sportivo su linguaggi e pratiche inclusive.

  6. L’abuso psicologico può venire anche da un compagno di squadra?
    Sì. Bullismo, isolamento intenzionale, soprannomi offensivi o prevaricazioni tra pari rientrano nelle forme di violenza da monitorare e interrompere. La squadra deve essere uno spazio sicuro, non un’arena di gerarchie distruttive.

  7. Come possiamo prevenire?
    ● Educando allenatori e atleti alla comunicazione empatica.
    ● Promuovendo una cultura del rispetto e dell’ascolto.
    ● Monitorando i segnali di malessere emotivo.
    ● Intervenendo sempre, anche davanti a episodi “minori”.

Dott. ssa Gloria Rossi

Consulente Pedagogico Familiare e Giuridico
Esperta in Safeguarding e Responsabile Contro Abusi, Violenze e Discriminazioni
Criminologa Esperta in Tutela Minori

Phone – 379. 2072241
Website – oltrelasperanza.blogspot.com

Sommario

Altre risorse utili

Lo strumento più potente della tua segreteria.

Concentrati di più sullo sport e meno sulla burocrazia.