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Inclusione vs esclusione: strategie per contrastare le discriminazioni nello sport

Abstract
Lo sport ha un grande potere trasformativo, ma può anche essere teatro di esclusioni invisibili. Allenatori, istruttori e atleti hanno il compito di riconoscere e prevenire le discriminazioni, trasformando ogni campo in uno spazio sicuro e accogliente. L’articolo esplora strategie concrete, casi reali e strumenti pratici per promuovere una cultura sportiva inclusiva, partendo dalle basi normative fino alla gestione efficace delle segnalazioni. Il Safeguarding non è solo tutela, ma un nuovo modo di abitare lo sport insieme.
Parole chiave: inclusione – Safeguarding – Discriminazione


Lo sport è linguaggio universale, terreno fertile di crescita e riscatto, ponte tra differenze che altrimenti resterebbero distanti. Chi ha calcato un campo, una pedana o una pista lo sa: allenarsi insieme significa conoscersi davvero, stringere legami che vanno oltre la competizione. Eppure, proprio lì dove dovrebbero nascere le relazioni più autentiche, si nascondono spesso dinamiche di esclusione. Un gesto non accolto, una battuta che ferisce, uno sguardo che esclude. Nelle ASD e SSD queste situazioni possono passare inosservate, confondersi con la “normalità” del gruppo. Ma ogni atleta che resta ai margini è una sconfitta per tutta la squadra. Parlare di inclusione, allora, non è solo una questione etica: è una responsabilità quotidiana. Per chi guida, per chi accompagna, per chi gioca. Perché ogni persona ha il diritto di sentirsi parte, senza doversi uniformare per essere accettata.
L’inclusione inizia quando ci si ferma ad ascoltare, quando si cambia prospettiva, quando si decide che il talento non ha un solo volto.
A guidarci ci sono il Codice di comportamento sportivo del CONI, la Carta dei diritti dei bambini nello sport, e le più recenti linee guida emanate da Sport e Salute in materia di Safeguarding. Questi strumenti sanciscono l’obbligo delle associazioni di adottare politiche preventive e garantire ambienti protetti.
“L’inclusione non è un gesto speciale per pochi, ma un diritto quotidiano per tutti.”

Esempio di Caso Reale: Durante una stagione di calcio giovanile, un atleta con disabilità intellettiva è stato escluso sistematicamente dalle partitelle finali dell’allenamento. Un compagno ha segnalato la situazione al Safeguarding Officer della società. Dopo aver parlato con lo staff, è stato attivato un percorso di sensibilizzazione per la squadra, e l’allenatore ha modificato le modalità di gioco valorizzando le abilità di ciascuno. Oggi, quel ragazzo è il primo ad arrivare all’allenamento, e il gruppo ha sviluppato una nuova coesione.

Procedura operativa – Metodo A-B-C
● A – Ascolta. Raccogli la segnalazione in modo accogliente, senza giudizio. Chi segnala deve sentirsi preso sul serio.
● B – Blocca. Interrompi la condotta discriminatoria. Se necessario, sospendi attività specifiche in attesa della verifica.
● C – Comunica. Attiva il Safeguarding Officer, documenta l’accaduto e avvia la procedura interna prevista. È essenziale che tutti sappiano a chi rivolgersi e cosa succede dopo.

Pareri e consigli pratici che vi suggerisco:
● Per gli allenatori: osserva il gruppo, cogli i segnali deboli (silenzi, rifiuti, battute ricorrenti). Un buon allenatore non allena solo i muscoli, ma la convivenza.
● Per gli atleti: sii parte attiva. L’inclusione è anche una passata in più al compagno meno abile, un “ci sei” detto a chi si sente ai margini.
● Per le società: nomina un Safeguarding Officer chiaro e visibile, organizza momenti formativi annuali e crea un ambiente dove segnalare non è un rischio, ma un diritto.

Contatti di riferimento (esempio da adattare):
● Safeguarding Officer interno: safeguarding@nomesocietà.it
● Numero per segnalazioni anonime: 114 – Emergenza Infanzia – 800.922.901 Coni
● Centro Antidiscriminazione UISP: www.uisp.it/safeguard

Investire nel Safeguarding significa costruire ogni giorno un ambiente sportivo più giusto, protetto e accogliente. Le ASD e SSD non possono più permettersi di “non vedere”: la tutela è una responsabilità condivisa, che si traduce in formazione, ascolto, monitoraggio e intervento.

Tra le buone pratiche fondamentali:
● Formazione continua e obbligatoria per tecnici, dirigenti e atleti.
● Presenza attiva e riconoscibile di un Safeguarding Officer.
● Canali di segnalazione sicuri, accessibili e protetti.
● Collaborazione con enti esterni (come FISDIR, Telefono Azzurro, CONI) per aggiornamenti, supporto e confronto.

Ma oltre le normative e le procedure, vorrei condividere un pensiero personale, maturato sul campo in anni di lavoro educativo, legale e sportivo:
➔ Ogni volta che un ragazzo torna ad allenarsi con il sorriso, dopo essersi sentito al sicuro.
➔ Ogni volta che un’allenatrice cambia metodo per accogliere chi fatica a tenere il ritmo.
➔ Ogni volta che un atleta sente di poter parlare senza paura.
In quei momenti capisco che il Safeguarding non è solo un obbligo: è un modo umano e profondo di vivere lo sport, di costruire legami, di prendersi cura.
Perché è lì che nasce l’inclusione: non nei grandi proclami, ma nei piccoli gesti quotidiani che trasformano il campo in un luogo in cui nessuno è mai solo.
Insieme possiamo davvero cambiare la cultura sportiva: iniziamo ora.

Dott. ssa Gloria Rossi

Consulente Pedagogico Familiare e Giuridico
Esperta in Safeguarding e Responsabile Contro Abusi, Violenze e Discriminazioni
Criminologa Esperta in Tutela Minori

Phone – 379. 2072241
Website – oltrelasperanza.blogspot.com

Sommario

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